Storie di famiglia 3


Donne

Tutta questa sua riluttanza a mostrarsi virile, ad eccedere nel negoziato dev'essere colpa delle donne della famiglia. Da una parte la generazione di sua madre formata da donne dall'aspetto solido, a volte imponente, con la mascella dcisamente volitiva. Dall'altra una moglie abituata a pensare per tutti. Ma furono soprattutto due sorelle resposnabili della sua educazione: Teresa, madre di mio padre e Maria che venne chiamata da tutti magna Maria, zia Maria indipendentemente se fosse stata vostra zia o no.

In effetti l'unico episodio violento di tutta la storia dell'arresto e di quasi tutta la storia successiva vede coinvolte le due sorelle.

I repubblichini avevano già fatto irruzione nelle case che diversi confidenti avevano indicato come quelle di fiancheggiatori dei partigiani. Le avevano svuotate e la gente raggruppata di fronte ad una grande villa all'inizio del viale della Rimembranza. La villa che ora è un ristorante con un giardino e una torre era stata occupata dal comando tedesco. Di fronte al cancello stazionava una sentinella che nel tempo libero veniva a mangiare nell'osteria della mia famiglia. La madre di mio padre, Teresa, aveva avuto il tempo di raccogliere l'incasso della giornata in un portafoglio di cuoio e mentre la spingevano fuori, per strada lo aveva nascosto in seno. Una manovra notata da un repubblichino smilzo. Prima di farla salire sul camion aveva fermato Teresa e le aveva cacciato la mano in seno per prendersi il portafoglio.

La voce in quei tempi era più leggera. Si diffondeva più rapidamente portata dalla continua allerta nella quale viveva la gente in continuo stato di guerra. Si sapeva dei rastrellamenti, dei bombardamenti, delle rappresaglie, degli scontri a fuoco. Tutti stavano pronti a diffondere qualunque voce di pericolo come una famiglia di marmotte in un prato senza nascondigli. E così la storia della retata aveva fatto il giro del paese, e come in un giro di giostra impazzita tutti, anche la gente delle cascine più lontane, quelle verso Cherasco, Benevagienna, San Naziario avevano saputo. Chi aveva parenti in paese si era precipitato sulle biciclette a verificare chi sarebbe stato portato via. Così fece magna Maria che inforcò una delle biciclette dei fratelli che nel frattempo erano rimasti nei campi.

Magna Maria raggiunse il crocicchio della villa quando il rsatrellamento aveva già compiuto la sua raccolta e la gente si agitava accanto ai camion circondata dai soldati, i quali erano circondati da altra gente, esclusa dalla raccolta. C'era chi gridava, chi cercava di appartarsi con i graduati per spiegare che il parente non centrava niente con i partigiani, che era stato nel partito fin da subito, che aveva presenziato a tutte le riunioni, alle feste, che dalla loro casa sventolava sempre la bandiera italiana. Qualcuno mormorava seguendo il proprio graduato offrendo beni del mercato nero in cambio della liberazione del parente, mentre il graduato nervoso sbraitava ordini cercando di mantenere la situazione sotto controllo e nello stesso tempo cercando di capire il valore dell'offerta.

Poi il repubblichino smilzo cacciò le mani nel seno di Teresa. Magna Maria non ebbe neppure il tempo o la delicatezza di parcheggiare la bicicletta: le sfuggì via dalle gambe che lei stava già marciando, come avesse partorito quel mezzo meccanico. Aveva visto e puntato il soldato come una nave decisa a speronare uno sciabecco di pescatori. Il repubblichino ebbe il tempo di infilare il portafoglio nella giacca e di alzare il moschetto automatico che la donna le fu davanti.

Io magna Maria ho avuto il tempo di conoscerla. La andavo a trovare nella cascina nella quale aveva vissuto quasi tutta la sua vita. Il primo ricordo che ho della sua casa è legato all'odore delle vacche. Lei abitava al primo piano sopra la stalla nella quale vivevano sei, sette vacche bianche. Per me, bambino nato e cresciuto in città fu una sorpresa straordinaria vedere che dopo essere entrati in casa si poteva scegliere se varcare una porta subito sulla sinistra ed entrare nella stalla o salire le scale per entrare nella parte abitata dalla sorella della nonna. Non so dire esattamante quanto fosse alta ma io la ricordo come una donna colossale, granitica, con una mascella forte e una testa come un blocco di pietra. Mi accoglieva con grandi sorrisi e una voce interrotta spesso dall'asma (il respiro è uno dei punti deboli della famiglia di mio padre). Aveva una voce solida, che non aveva bisogno di alzare per farsi sentire.

Intanto il soldato tedesco di sentinella al comando tedesco si era avvicinato a mio padre chiedendo cosa stesse accadendo. Non riusciva a credere che la famiglia che gli serviva la trippa, il bollito, il bicchiere di dolcetto potesse nascondere partigiani. O forse sì, riusciva a crederlo. Forse sapeva già che la guerra stava per finire male. Vide il repubblichino brandire l'arma contro una donna che lo stava riempiendo di miserie. Le mani sui fianchi, la testa sporta in avanti sempbrava proprio uno di quegli atteggiamenti che il loro Duce aveva regalato in tante immagini. Mai avevano visto tante immagini di chi li comandava e mai con tanto teatro. Ma a differenza delle foto di Mussolini alle quali si era fatta l'abitudine la donna sembrava pericolosa davvero. Il tedesco si affiancò alla donna. Non ci provò neanche a calmarla. Piuttosto fece volare un ceffone. Uno di quelli belli, liberatori, a mano larga. Il ceffone non sfiorò nemmeno la donna perchè era diretto al soldato della Repubblica. Vacillò. Il resto della gente, rastrellati, soldati, parenti, passanti rimasero un momento sospesi aspettando la raffica secca del mitragliatore e poi le grida e poi altri spari e poi altri rumori molesti, sangue, corse, lamentni fino al ripristino dell'ordine. Il tedesco nel suo italiano stentato ordinò al soldato di restituire. No. Restituisci. No. Restutuisci. No. Il tedesco tirò fuori la pistola. Una Luger P08, 9 millimetri Parabellum, capace di sparare 8 colpi fino a 70 metri di distanza. Un'arma molto desiderata dai collezionisti. Restituisci.

Il soldato infilò la mano sotto la giacca ed estrasse il portafoglio. Non lo restituì. Lo lasciò pendere, affacciato dall'apertura della giacca finchè non cadde da solo. Magna Maria che nel frattempo aveva continuato a vomitare disprezzo, si avvicinò e prese il portafoglio. Ora una storia con un po' di buonsenso teatrale, che sapesse rendersi memorabile vorrebbe che la donna schiaffeggiasse il repubblichino con il portafoglio. O che lo deridesse con una grassa risata. Niente di tutto questo. In noi scorre solo buonsenso. Niente sangue, veleno, bile o altro fluido maledetto o infiammabile. Riavuto il suo denaro Maria è tornata la donna pratica di sempre.
"Lo tengo io." disse alla sorella. La sorella che doveva partecipare al rastrellamento, che forse avrebbero fucilato o portato chissà dove. Le cose erano a posto. Non si poteva chiedere di più alla fortuna. Che notoriamente non esiste tra la gente che viva insieme al calore della vacche.

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