Il mio 11 settembre


Dopo qualche ora il telefono dall'altra parte dell'oceano ha ricominciato a suonare. Fino a quel momento era rimasto muto. Avevo ricontrollato più volte il numero, lo avevo rifatto lentamente, con attenzione.

Non dovrei preoccuparmi, Siobhan sta al Village che è abbastanza lontano da Lower Manhattan. Ma l'atmosfera apocalittica che sprigiona la televisione fa sembrare tutto tremendamente vicino. Finalmente qualcuno risponde. E' lei. Il mio inglese balbetta dall'emozione. Anche la sua voce trema. Mi dice che Bedford Street è bianca e per strada non c'è nessuno. I fogli, i documenti, le carte del World Trade Center sono volate fino laggiù. E continuano a volare. Le torri si vedono dalla finestra della camera e lei è là dalla mattina. Le torri non ci sono più. Ma non è sicura, c'è molto fumo. Le ha viste cadere prima dalla finestra poi dalla CNN ma non è sicura che siano cadute davvero.


Ha parlato con il fratello che lavora per il governo, per la sicurezza. Neppure in famiglia può dire cosa fa. Lo ha trovato al cellulare. Le ha detto vai via di li.
Vai nel Connecticut.
E come?
A piedi. Vai via di li. Anche a piedi, se necessario.

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