Uno scambio di cadaveri


La storia della morte di Bruno Schultz è tra le più indicative. Ebreo in quel pezzo di mondo che avrebbe potuto essere misto e tollerante e invece ha preferito essere uno stagno di sangue (la sua città natale Drohobic era nella Galizia allora austriaca oggi ucraina, lui polacco e anche ebreo).

Grazie alla conoscenza del tedesco si salva dal ghetto e lavora per un ufficiale SS. Tornando a casa il 19 novembre 1942, un altro ufficiale tedesco lo fredda in mezzo alla strada. La ragione? Il suo datore di lavoro aveva ucciso l'ebreo personale del'ufficiale che per pareggiare i conti fa fuori Bruno Schulz. Uno sgarbo, una piccola cattiveria. Un biblico occhio per occhio, dente per dente.

Così ci hanno portato via un sacco di voci insostituibili. Insieme a Bruno Schulz, se ne vanno Irene Nemirovsky, Walter Benjamin (di cui nessun nazista può essere accusato della morte direttamente, certo, ma la persecuzione che porta la suicidio è una colpa. E grave) Etty Hillesum, Anna Frank, Jozef Capek (inventore della parola robot) e Max Jacob.

In cambio ci rimane il magro bottino di un derelitto Céline e un ormai dimenticato Knut Hamsun, norvegese

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