Il Lacunare
Per tutta la mia esperienza scolastica ho vissuto l'angoscia delle "lacune". Ogni volta che mia madre andava ai colloqui con gli insegnanti il responso era lo stesso: "è intelligente ma non si applica (quasi fossi un adesivo o una ventosa)" ma soprattutto "ha diverse lacune".
Ecco io quelle lacune le ho sempre immaginate come delle pozze di acqua stagnante e immobile in un mondo che altrimenti sarebbe stato perfetto. Quel mondo rotondo, perfettamente sferico di Barbara Rosati, Elena Gorzegno, Carmen Concilio secchione con classe, precise nella preparazione, littorine della conoscenza che procedevano nella carriera scolastica senza un sussulto, senza una manchevolezza, senza, insomma le maledette lacune.
Ho cominciato con le tabelline e ho proseguito lasciandomi alle spalle orribili crepe come cicatrici vaiolose che rendevano ogni compito o interrogazione presagio di morte, uno slalom attraverso le voragini che mi facevano sperare soluzioni fantasiose e spesso improbabili.
Poi, ho cominciato ad imparare a raccontare storie. In alcune materie funziona. Infarcisci, infioretti, citi, ti spertichi in giovanili teorie interpretative: discutibili, certo, ma mosse dall'entusiasmo dell'appassionato che ti fa sembrare un filologo in erba. Così ho meritato quel nove sul tema "Il Fu Mattia Pascal". Ora lo posso confessare, professoressa Giuliana, quel libro non l'ho letto. E non l'ho letto neanche dopo. Me lo sono fatto raccontare da Lorenzo Zola, sul diciannove, la mattina stessa della prova. E mentre lui parlava già mi stavo immaginando quale parabola avrei sortito nel quinterno a righe. E due giorni dopo, professoressa Giuliana, quando mi ha chiesto: vuoi spiegare perché credi che nel Fu Mattia Pascal il treno è simbolo della morte ho pensato, diavolo, questa roba funziona.
Ecco io quelle lacune le ho sempre immaginate come delle pozze di acqua stagnante e immobile in un mondo che altrimenti sarebbe stato perfetto. Quel mondo rotondo, perfettamente sferico di Barbara Rosati, Elena Gorzegno, Carmen Concilio secchione con classe, precise nella preparazione, littorine della conoscenza che procedevano nella carriera scolastica senza un sussulto, senza una manchevolezza, senza, insomma le maledette lacune.
Ho cominciato con le tabelline e ho proseguito lasciandomi alle spalle orribili crepe come cicatrici vaiolose che rendevano ogni compito o interrogazione presagio di morte, uno slalom attraverso le voragini che mi facevano sperare soluzioni fantasiose e spesso improbabili.
Poi, ho cominciato ad imparare a raccontare storie. In alcune materie funziona. Infarcisci, infioretti, citi, ti spertichi in giovanili teorie interpretative: discutibili, certo, ma mosse dall'entusiasmo dell'appassionato che ti fa sembrare un filologo in erba. Così ho meritato quel nove sul tema "Il Fu Mattia Pascal". Ora lo posso confessare, professoressa Giuliana, quel libro non l'ho letto. E non l'ho letto neanche dopo. Me lo sono fatto raccontare da Lorenzo Zola, sul diciannove, la mattina stessa della prova. E mentre lui parlava già mi stavo immaginando quale parabola avrei sortito nel quinterno a righe. E due giorni dopo, professoressa Giuliana, quando mi ha chiesto: vuoi spiegare perché credi che nel Fu Mattia Pascal il treno è simbolo della morte ho pensato, diavolo, questa roba funziona.
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